LA FORZA DI UNA CAREZZA


Forse dovrei cominciare a scrivere questa pagina del “Viaggio della Memoria” partendo dai volti addormentati che salivano sul Bus Aned 3 a Firenze.
O magari dovrei cominciare da ancor prima, quando a soli 11 anni, in una calda giornata estiva, correvo dietro al camper con il quale mio nonno avrebbe girato mezza Europa, alla ricerca dei Lager nazisti in cui era stato tenuto prigioniero dal 1943 al 1945. Purtroppo non avevo l’età per un viaggio simile. Non era ancora il momento.

Probabilmente, essendo la pagina del diario di un prof, dovrei cominciare scrivendo qualcosa dei ragazzi che stiamo accompagnando per questi teatri dell’orrore, di come la loro vitalità prenda il sopravvento nelle cose più semplici e banali, di come viaggino costantemente cercando la sapienza a modo loro, con un Kahoot nell’area di sosta o una domanda scomoda alla quale nessuna guida potrebbe rispondere. Poi, però, c’è anche qualcosa d’altro. In rari e delicati istanti di silenzio avverto in questi giovani studenti una quasi inconsapevole promessa. La stanno facendo a loro stessi mentre accendono gli occhi e l’intelletto sulle zone più oscure dell’umanità, investigando la sofferenza con le labbra tra i denti, con il cuore incredulo, a volte con un pianto. Non lacrime di adolescenza ma lacrime di donna e di uomo, le stesse che i poveri sopravvissuti avevano esaurito nel giorno della liberazione del Campo di concentramento.

Il Viaggio della Memoria è così da intendersi: un viaggio-fuori. Fuori dalla portata dei viaggi leggeri, fuori dal mare calmo, fuori anche dall’adolescenza. È un viaggio che fa donne e fa uomini, che fa maturare il principio di giustizia scavato nell’essere umano.
Comincerò a scrivere da qui, dall’immagine che mi sono trovato davanti appena risalito in pullman, pochi minuti fa. La scriverò senza punteggiatura perché le immagini non la vorrebbero mai. Non ne hanno bisogno. Vogliono arrivare come vogliono.
Uno studente è appoggiato al finestrino e accarezza con tepore i capelli di una ragazza che poche ore fa non aveva idea esistesse da qualche attimo hanno scoperto di abitare lo stesso pianeta lei è accoccolata sulla sua spalla destra e respira e respira.

Non si ode il rumore della morte quando qualcuno ci ama.
Il Pullman non è più un pullman.
La vita non è più quella di prima.
L’amor d’adolescenza non è meno straordinario di una moglie che, dopo decenni, ama ancora il marito.

Ripartire da qui, dalla forza di una carezza, è importante. Perché girando per Dachau o Mauthausen non c’è un minuto in cui non si impatti la morte, la sua estrema facilità, la sua tragica normalità.
Centinaia di ragazzini camminano adagio e guardano sconcertati quello che è successo in loro assenza, nel continente che oggi gli dà casa. Per molti è il primo viaggio all’estero, il primo senza genitori. «Cosa devo fare? Che devo dire? Che devo pensare?» si chiedono.
Il compito dell’insegnante non è quello di sostituire i genitori ma di valorizzare questa indecisione naturale dei ragazzi, fargli vivere la bellezza del “non saper come fare”, dargli il coraggio del “provare a farlo” per la prima volta, senza l’aiuto di nessuno.

E’ essenziale andare a cercarsi esperienze creative, dove la parola CREARE non significa necessariamente FANTASTICARE ma difendersi dalla passività, perdere tempo per trovare una via dove una via non c’è mai stata, inventare una soluzione buona sul momento, perfezionarla per renderla migliore nel tempo.
Sono questi i viaggi che cambiano la vita. Viaggi in cui smettiamo di fare i turisti e cominciamo a respirare noi stessi, a prendere atto dei limiti che abbiamo, che poi corrispondono esattamente alla scoperta di ciò che nella vita dobbiamo ancora imparare.

Così i ragazzi imparano e io con loro.
Ch’è troppo grande il mare per inchiodarci un senso.
Che per venirne a capo,
dopo il grande silenzio,
devono nascere parole nuove.
Che non si ode il rumore della morte
quando si comincia ad amare.


2 risposte a "LA FORZA DI UNA CAREZZA"

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