La sveglia, per me, è Andre che comincia a zampettare per la stanza. Nessun trillo elettronico. Sposta lo zaino, fa scorrere l’acqua, apre le persiane facendo finta di non fare rumore. La compostezza del viaggiatore è quella che sa rimettere lentamente al mondo il compagno di viaggio, che sia durante la strada con un goccio della sua borraccia o la mattina presto tra le quattro mura del rifugio provvisorio. Mi stropiccio gli occhi come i bambini prima di andare a scuola. No, per fortuna non devo andarci. Oggi tutto sole. Ci aspetta la tappa terza, quella che da Sansepolcro porta in là, oltre il confine della toscana.
Dopo un’abbondante colazione di foresteria, Andre non perde l’occasione per richiedere il timbro del nostro passaggio. Ce ne andiamo più tardi rispetto alle altre mattine, per lasciar asciugare meglio le cose sotto al sole e per allestire bene il carico sulle biciclette.
Neppure il tempo di montare in sella che ci troviamo a San Giustino, terra di confine. Ci fermiamo per fare una foto. Elisetta, una giovane anziana accompagnata dal cagnolino, ci sorprende brillantemente con parole allegre, piacevoli perfezionismi su dove strisci davvero il confine, quali fiorellini possono chiamarsi umbri e quali toscani.
Ci rendiamo conto qui, una volta in più, quanto siano belle le terre di frontiera: lingue normali di terra emersa, destinate a far parlare di loro nel bene o nel male, appartenenti un po’ al di qua e un po’ al di là (non dite così ai loro abitanti).
Passiamo oltre e ci dirigiamo verso Citerna, uno dei borghi più belli d’Italia. In cima alla salita un problema alla ruota anteriore ci fa temere il peggio. Prendiamo la situazione con filosofia, senza allarmarci.
Nonostante i 29 gradi Andre mi convince a prendere un tè caldo. Il paesaggio che si affaccia sulla terrazza del borgo è meraviglioso: una lunga piana incastonata nel verde. Le case sembrano sassolini bianchi e rossi gettati quasi a casaccio dalla cima delle colline circostanti.
Ripartiamo mantenendo in sofferenza il problema alla ruota della #CarnielliTurismo e dopo 15 km di discesa e pianura arriviamo a Città di Castello a passo tranquillo. Antonio ci ripara la bici nella sua officina con fare scherzoso, una simpatia plurilinguistica o direi piuttosto glottotetica dato che le lingue lui non le sa, le inventa proprio!
Per un attimo, il tutto, mi fa ricordare una bellissima frase di Francesco, una di quelle che non si sa ancora se abbia davvero detto lui (e non si saprà mai):
“Vivi l’attimo nell’eterno respiro inventando parole che nessuno ha mai detto.”
È bello viaggiare così, perché ogni attimo in bicicletta fa ascoltare il respiro, ogni attimo potrebbe aver qualcosa di nuovo da dirti e le orecchie devono essere sempre ritte, pronte ad ascoltar parole che la natura o gli incontri fanno sopraggiungere dall’eternità.
Salutiamo Antonio che per la riparazione non ci chiede nulla di materiale, solo una preghiera lungo la Via. Proseguiamo on the road sottopassando la ferrovia e prendendo la strada che porta a Pietralunga ignari di ciò che ci aspetta. Ci fermiamo a pranzare al Sasso, una locanda sulla strada, con un grande giardino e delle cascatelle. Un luogo riposante che non possiamo vivere a lungo per l’ora ormai pomeridiana.
Ci rimettiamo in sella dopo una Ciaccia farcita e una radler. I 17 km che ci separano da Pietralunga sono tosti, con irte pettate del 15-20% da affrontare a zig zag.
#GiuliettaBike Sorella Luna porta con sé 17-18 kg di roba e in certi momenti neanche la marcia minima è sufficiente a farmi salire. La #CarnielliTurismo è un mostro che vola ma “è bene non forzarla troppo in salita” diceva il buon Antonio. Un tratto lo facciamo dunque a piedi, per mano con le nostre cavalleresche compagne. Buono così, poiché nonostante il nostro essere giovani e forti, c’è sempre un punto, una forza, un qualcosa che ci sovrasta, che ci vince. La Via di Francesco è anche quella dell’umiltà e, in certi casi, riconoscere di non farcela è la più grande delle virtù.
Ci rimettiamo in sella dopo 1,5 km circa, quando il cielo rincupisce e ci aiuta a velocizzare i tempi di percorrenza. Allo scavallare siamo frastornati e una pausa di 2 minuti e 30 ci ricolloca nell’ora esatta e nell’itinerario abbozzato la mattina.
Scendiamo a Pietralunga in slalom gigante per i crateri mal rattoppati dal comune. Qui, gli otto minuti di conforto e confronto ci fanno intendere che la stanchezza accumulata sotto al caldo è tanta, forse non così ingovernabile però.
Un pensionato del luogo si ferma. Ci domanda il tragitto, le forze. Ci guarda negli occhi. Chiediamo com’è la strada per Gubbio e lui è contento di spiegarcela:
“Saranno ventecincue chelometri. C’è da fa n’ sacrificio. Da lassù Gubbio se vede de già.”
Questi momenti sono nodali, da qui passa la Via, si decide il viaggio in un lampo. Dal momento che si fissa la meta e si definiscono le strade bisogna portare in fondo la tappa.
Sta ormai arrivando sera e non c’è tempo da perdere. La città di Don Matteo è alle porte… o meglio, noi siamo quasi alle sue porte.
I primi 15 km, seppur in salita, passano abbastanza veloci. Chiacchieriamo anche in discesa fino a circa 7 km dalla città. Da qui in poi ci zittiamo per dedicarci all’arrivo. A 4km da Dubbio mi sorge un gubbio. Cioè, volevo dire… A 4km da Gubbio mi sorge un dubbio: dove dormiremo stasera?
Esprimo la riflessione a voce alta, quasi come se attendessi una risposta da Andre. Risposta che non arriva. Mi volto lungo il drittone in falsopiano e lo vedo oscillare sui pedali. Evidentemente anche l’Angelo Biondo si stanca prima o poi! Lo aspetto alla rotonda che ci immette al centro città. Abbiamo finito da circa 10 km ogni sorta di risorsa energetica e liquida. Ciò che ci porta a concludere la tappa sono i cartelli stradali con la cifra 1 km oltre al sogno che rimbalza in testa di una doccia, una cena e un letto.
Ci fermiamo a bere qualcosa a 700m dal cartello Gubbio. Più che altro perché se è vero che la destinazione è questa, è anche vero che qui termina la tappa. E dove termina la giornata di viaggio, terminano anche gli obiettivi.
Dove dobbiamo andare adesso che siamo arrivati?
Una domanda inconcepibile se ci penso. Ma estremamente vera.
Forse è questo il destino del viaggio on the road: arrivando alla meta perdi il viaggio, le ruote smettono di girare, l’andare si placa. L’arrivo coincide con il perdersi, con lo smarrire il proprio perché. Sulla Via di Francesco questa sensazione obliqua per fortuna non dura molto. Giusto il tempo di far squillare metà dei telefoni di Gubbio per cercare una sistemazione. Conventi, istituti, foresterie, famiglie, ostelli, frati, suore e gatti… insomma tutto occupato. Qualcosa sembra remarci contro. Prendiamo in seria considerazione la canonica di Don Matteo con la buona Natalina a farci da mangiare… e mentre ci ridiamo su, ecco un’illuminazione (neanche così illuminante a dire il vero). Semplicemente apro booking. In 3 minuti e mezzo abbiamo la nostra cameretta prenotata in un due stelle. Non proprio una location francescana nel senso stretto del termine, ma, per due poveri viandanti devastati, anche il buon Francesco farà un’eccezione.
Grazie Andrea e Andre….in qualche modo mi sembra di camminare, anzi biciclettare con voi! Siete meravigliosi nelle parole, nei colloqui, nella forza, negli sguardi, nella coscienza che l’umiltà è sostanziale ad ogni passo che compiamo
Sono con voi Lu
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Un abbraccio grande da entrambi!
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