BONAPARTE BUONANOTTE


Non ho sonno.
La credenza del salotto è alta circa tre metri ed ogni tipo di uomo, da secoli, la guarda dal basso verso l’alto. Gli si può criticare la chiave ormai arrugginita che gira la serratura per aprirla, ma per il resto è un mobile meraviglioso. I due sportelli hanno ognuno la propria porzione di vetrata semplice, con alcuni ramoscelli e due cigni dal collo lungo disegnati in maniera simmetrica. Al suo interno si scorgono tre mensole che ben separano i quattro settori. Al piano terra, cestelli e terrine, al secondo, tazze grandi e scodelle, al terzo, calici in cristallo blu chiaro, in cima, sull’ultima mensola, bicchieri da birra e un servizio da caffè solo per i giorni di festa.
Non è che vada pazzo per le case molto arredate, ne a dir la verità nutro una grande passione per arredarle, tuttavia questa credenza è tutto. Non è il suo ordine a stupirmi ogni volta, non il suo legno ancora ben conservato, non è la chiave arrugginita o i bicchieri da birra. Direi che per la loro bellezza potrei rimanere stupito tutte le volte dai disegni sulla vetrata, dal collo lungo dei cigni simmetrici, ma in finale non è neppure per quelli che amo questo armadio.
Era della nonna di mia bisnonna. Ha vissuto mondi-più e mondi-meno. Ha visto pranzi poveri e tra i più ricchi. La leggenda narra addirittura che abbia servito un bicchiere di cognac al figlio del grande Bonaparte. Non si saprà mai se questa bizzarra storia sia vera o meno ma la convinzione con la quale la nonna raccontò dell’accaduto al pranzo di Natale del 97′, sembra non possa lasciar dubbio alcuno sulla faccenda. Un tempo si era di parola. Si viveva di storie che si tramandavano e l’intera generazione cresceva nella cultura popolare dei detti. Oggi questi stessi proverbi vengono derisi e spesso disprezzati. Certo sono perlopiù legati alla terra, al contado, alla natura. Nientemeno di questo mi turba: l’incapacità di tornare a cogliere ciò che siamo stati nello scorso secolo, rinnegare le nostre origini come se non esistesse legame alcuno con l’oggi. Altro che Santi, poeti e navigatori. Di navigatori ne esistono ormai solo sul web, i poeti sono rari come i liocorni e quei pochi vorrei sapere chi li riconosce… troppe son le parole scagliate verso di noi ogni giorno.
Dai Santi dovremmo ripartire, tra le loro virtù c’è quella più importante per gli stessi poeti e navigatori: l’umiltà.
E ditemi o voi Signori se non è dei contadini questa grande virtù!
Non è vero che si stava meglio quando si stava peggio. Potremmo stare molto meglio oggi. Solo che abbiamo perso la memoria, non ci incontriamo con gli anziani, lasciamo che se ne vadano senza neppure aver ascoltato una tra le loro mille preziosissime storie.
È un’epoca mancante di storie ben raccontate questa, manca chi le racconta ai propri figli con la schiena appoggiata alla gamba del letto. Quest’epoca è pienamente sprovvista del concetto di storia. Male. Perché la storia insegna a non commettere gli stessi errori nel tempo.
Ci stiamo dentro pare a me.
Lo sento per le vie di questa città che comincia a mancar l’aria. Lo sento per la diffidenza, la paura delle persone e per i telefoni che continuano a squillare, per le chiamate senza senso degli operatori e per la pubblicità del gioco d’azzardo.
Non ho ancora sonno.
Oggi questa vecchia credenza guarda me. Nel cuore della notte guarda me, piccolo uomo senza musica ne un bicchiere di vino bianco.
Se la guardo un altro po’ me ne vergogno quasi. Mi chiede che ne farò di me, della mia vita. Mi chiede che ne farò degli altri, della loro vita. Vanno d’accordo queste due domande, l’una non può esistere senza l’altra.
Siamo a un solo metro di distanza e pare lontanissima, la chiave è inclinata di 90 gradi così come la nonna l’ha lasciata prima di andare a dormire.
Non rispondo. Non sono in grado.
Sul tavolo del salotto ci sono quattro tipi di piante diverse. Non so dare un nome neanche a una di loro. Triste faccenda tra me e la mia ignoranza. Il vecchio Gio’ saprebbe dirmi qualsiasi cosa su queste creature, saprebbe instaurare un dialogo con loro, accarezzarle forse. Io non so proprio cosa fare. Vorrei che mi parlassero, che mi dicessero qualcosa. Non c’è dialogo tra me e loro, non può esistere. Sono troppo impreparato per avvicinarmi a creature così belle.
Siamo in tanti in questa stanza della casa. Oltre a queste quattro, c’è una bella pianta sulla destra della credenza, spruzza foglioloni verde scuro all’esterno e con chiazze di verde chiaro sulla parte più interna. Accanto alla televisione sulla mia sinistra, appoggiate sul pavimento, due piccole gemelline in vasetti di plastica marrone scuro. La porta finestra aperta per metà ha la serranda abbassata ma dalle fessure è ancora possibile vedere il marciapiede di Via Monte Ortigara, due finestre chiuse del condominio di Giorgia e un lampione arancione.
Sul tavolo ci sono venti libri sparsi. Romanzi, interviste inedite, due libretti di sociologia, un corano e alcuni libri di filosofia. Sto cercando di capirci qualcosa di questa dannata crisi contemporanea dell’uomo occidentale.
Ancora non ho sonno e poi bisogna continuare a credere in se stessi e nell’umanità.
Tutto è impossibile.
Bisogna scegliere. E scegliere è roba dura per la gioventù di questo Duemilaquattordici.
I Negramaro hanno finito il concerto all’Arena. Alcune loro canzoni ritengo siano bellissime, mi fanno riflettere e sognare. Altre non le sopporto proprio, se le impatto casualmente per una stazione radio svengo dalla nausea. Per fortuna di solito non avviene mentre sono alla guida. Poco dopo.
Forse ho un po’ di sonno.
Mi è venuto pensando al fatto che la Germania ha vinto i mondiali. Solo un pensiero come un altro. Uno di quei pensieri che il cervello sceglie inconsciamente di pensare prima di andare a letto.
Bonaparte Buonanotte.


2 risposte a "BONAPARTE BUONANOTTE"

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