LA TERRAZZA DEL BAHIA


Era una gaia giornata d’inverno, Salvador Do Bahia soleggiava 27 gradi e l’atipica condizione di giugno nella terra del samba ci trovava entrambi in un languido dopopranzo, sbadati e sognanti.
La fase della spensieratezza produttiva era appena cominciata, in quel viaggio che ci avrebbe cambiato (come ogni vero viaggio sa fare) senza chiedere permesso.
Ad un paio di isolati dall’inizio del mare, la terrazza del Bahia ci dava tempo. Tempo da perdere in guadagni lontani dal comune, tempo di respirare, di aprire i polmoni ai pensieri felici.
Pepito sotto una chiazza d’ombra con il charango boliviano

🎼
Shimbalaiê quando vejo o sol beijando o mar 🎼

Ed io dal lato del sole, soffiando note nell’armonica a bocca

🎼
Shimbalaiê toda vez que ele vai repousar 🎼

Ce ne stavamo là, strimpellando e canticchiando ai viandanti di una povera metropoli in cima all’emisfero sud, quando d’improvviso una chiamata dall’Italia mi fece balzare sugli attenti. In un minuto tutto diventò chiaro e reale: “Pepito, è stata la trattativa più rapida della mia vita. Non ci crederai…
Il prossimo anno giocheremo nella stessa squadra!”

Vittorie e sconfitte, assist e gol a decine e decine per due stagioni di fila. Eppure, tutto questo importava relativamente. Ciò che davvero contava era il pre-partita. Pepito faceva il giro degli spogliatoi, passava da me che ero ancora intento a stringere i lacci delle vapor. Si avvicinava all’orecchio e sussurrava:
“Shimbalaiê”
Lì il calcio smetteva di essere solo calcio, andava in poesia. Non c’era da dire più niente. I rumori dello spogliatoio tornavano musica sul mare e la spensieratezza produceva altre misure, giocate straordinarie, abbracci di squadra senza tempo.36907FCC-BF51-4A4F-88E2-DF9CC08132D2

La scorsa domenica 9 dicembre 2018, a Strada in Chianti, l’autunno si presentava sotto forma di pioggia e di uno scarno pareggio a reti inviolate. Non proprio la giornata ideale per celebrare il ritorno insieme dopo 4 anni.

Ma si sa, è strano il calcio, tante volte toglie, alcune volte dà.
A 5 dalla fine… un fischio.
L’arbitro indica il dischetto.
È penalty.
Quel funambolico 10 che per vicissitudini varie il 10 non ha quasi mai indossato, raccoglie la palla. La posa in mano al suo compagno e gli sussurra qualcosa all’orecchio…

E io lo vorrei augurare a tutti un giorno, almeno a chi pratica questo sport, di calciare dalla terrazza del Bahia. Da lì, i rigori, non si sbagliano mai.


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