GRAND CENTRAL


Piccolo estratto da “Il mondo mi sta dando un passaggio”

La luna a New York non esiste. Esiste qualcosa di simile nelle pubblicità di Times Square by night ma nulla che si avvicini alla luna della Toscana. Le luci dei grattacieli sono l’unico cielo visibile, non una stella di più, solo uffici e uffici di luce elettrica.
Sulla 42 st la stazione Grand Central è un parco interno fatto di marmo bianco, orologi e passi corti. Qua, aspettando il treno M, mi accorgo per la prima volta di poter ascoltare.
Un messicano suona la chitarra appoggiato alla panchina in legno.
È solo un messicano.
È solo una chitarra.
Ma è il momento più intenso della giornata.
Un attimo di 7 minuti che ammutolisce il pensiero e lascia che lo sguardo si perda sulle mattonelle al di là delle rotaie: 16 quadrati bianchi salendo fino alla scritta BROADWAY.

Dove diavolo sono.
Dimenticato dalla mia stessa voce,
colto in flagrante dal volo dell’anima.
Non ho più nulla da dire
dal pensiero, ne dal cuore:
la parola è solo un sibilo
che riesco a emanare sul foglio del notebook,
una sconveniente mossa di dolore
che rimanda ancora al mio compito.

Fuori dall’ultimo stop del treno M c’è un Queens intero che aspetta di potersi svegliare di giovedì. Scendo le scalette della sopraelevata e comincio a risalire la strada del cimitero. Ogni mattina correndo di qua, vedo persone nuove. New York è la città degli interminabili nuovi incontri.
Ora però, almeno per questa strada, non c’è nessuno. Solo foglie e taxi in cerca di una mano alta. Ma no, ormai è troppo tardi persino per i taxi.
Il falsopiano tira appena la catena inferiore dei polpacci. Domattina devo allenarmi meglio, non reggo ancora 90 minuti.
Il fruscio degli alberi è cessato. È partita la zona residenziale. Da qui in poi sono solo seminterrati, caminetti spenti e finestre con appese fuori bandiere americane.
In fondo al viale la rete metallica del cimitero tenta di nascondere Manhattan ma non si può. Perché la luna a New York non esiste. A meno che non si abbia la fortuna di trovarsi lì, per quei pochi minuti, nei bassifondi semi spenti di Grand Central.


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