Viviamo nell’epoca delle password. Ne dobbiamo avere una per tutto: il cancello, il biglietto del treno, la posta, le apps, a volte persino per il forno a microonde.
I numeri in sequenza sono la porta di ingresso a qualsiasi posto si voglia raggiungere. Tale passwordistica abitudine ha creato nell’uomo di questo tempo uno strano codice visivo che lo fa avvicinare o allontanare dalle persone prima ancora di conoscerle. Il timore di conoscere gli altri sta nel monologo della modernità assieme a due conseguenze: non poter conoscere se stessi e non farsene mai capaci.
Mi perdonerà la mia professoressa di matematica se scrivo che siamo così tanto numerati e numerabili da agire ormai solo numericamente verso il mondo. Se una cosa è estranea, non è conosciuta. Se non è conosciuta non dà certezze. Tutto ciò che non dà certezze, per la legge dei grandi numeri, non conviene.
Non so ancora se ci hanno cortesemente convinti o se ce lo siamo messi in testa noi, che la vita è solo una partita a poker. Quale diavoleria più grande del rendere in percentuale ogni cosa che ci gira attorno?!
Ci sono uomini che, in questo tempo di password, hanno perso la capacità di fare nuove amicizie. Uomini a cui bastano i pochi conoscenti dell’età adolescenziale, o che si lanciano a conoscere le persone solo se tecnicamente funzionali alla loro esistenza.
Ci siamo raccolti attorno ad uno strano centro di ordini generali, con percentuali che tengono conto di valori particolari misurati in maniera generica e universale.
Cioè. Fermatemi un attimo. Questi strumenti gestiti meccanicamente da numeri, mi dicono in numeri come essere felice?
#Porcapaletta
Ed io che speravo di avere un cuore, una mente, di essere una persona, centro di interiorità razionale e razionalità interiore!
Ed io che pensavo che la filosofia fosse un gran bel viaggio a piedi verso la Verità!
Cari Platoni e Aristoteli qui in pochi ormai vi leggono ancora. Dopo Duemila anni e mezzo state cominciando lietamente a passare di moda, esattamente come la Play Station 2 e Live Messenger. Belli belli i libri che avete scritto ma servono a pochino ormai. Dovete sapere che l’uomo si è evoluto, adesso stiamo tutti felicemente diventando dei frigoriferi, dei forni a microonde, delle apps.
Oh se poteste vedere con i vostri occhi che bellezza!
Ognuno di noi ha una funzione indipendente, ognuno un atomo, nessuno ha più bisogno di entrare in contatto con nessun altro!
In questo dominio tecnico l’uomo non si muove che a password.
E chi troverà mai la password del mio cuore? Ci si chiede rigorosamente in segreto.
Perché poi l’uomo è così, ontologicamente programmato per l’amore. Lo cerca ovunque. Quello di cui non è cosciente, però, è che si allontana da lui di passo in password ogni volta che sceglie di essere solo una app.
Forse, in mezzo a questa planetaria roba da applicare tecnicamente, l’uomo si compiace dell’idea che ha sull’amore. (Mi pare che manchi un passaggio vecchio mio. L’amore si può capire… o almeno qualcosina di esso, ma solo se si trova il coraggio di viverlo da dentro).
L’amore, per essere, è anche rinuncia, dolore, ferita vissuta.
A volte, morsicchiato dal mio tempo, sento di cercare con tutte le forze la mia idea sull’amore rimanendone ben fuori. È come sforzarsi di ritrovare una qualche cosa che non è mai esistita in nessuna epoca. Questa esperienza del taedium, mancanza di senso, è di una potenza grandiosa poiché, affondarsi fin là, è aprirsi al riconoscere tutto questo.
Viviamo nell’epoca delle password, ma non mettiamoci nella cabeza di annientare tutti i numeri della nostra vita adesso! Non dobbiamo passare per l’allergia alle percentuali! Ogni cosa ha una sua bellezza e un suo valore se non viene sparata in eccesso.
Per l’uomo occidentalizzato e occidentalizzante c’è, comunque, un’unica irrimandabile via da percorrere: guardare in occhi rugosi che hanno conosciuto il colore del pianto.
Qui ci si ri-unisce nel mondo o si muore.
Di là dagli oceani o di qua,
hinterland di un cosmo che chiama
spaccature a colmarsi,
cuori a toccarsi.
Attraversare l’umanità
fino al luogo del non senso.
Una volta di qualche tempo fa, accerchiato nel non senso, sentii il mio essere portato alla vita, un compimento quasi insperato. Da quel momento, la periferia è l’unica regione in cui senta il bisbiglio primo della mia identità, la sua regola d’ordine, l’eterno che prende forma in un poetico attimo. Questo territorio è un luogo rovesciato, inaccessibile allo sbadiglio narrativo, sbarrato all’insignificante arte dell’esserci solo per se stessi. In un luogo così, anche solo per un voluto secondo, mi parve di esserci solo per gli altri.
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Trucioli
Finalmente.
Il dolore si è di-spiegato
distinto nella luminosa insensatezza che mi dona di ricevermi.
Goccia di latte sacro, materno,
Polline soffiato dal Giardino,
questo duro tronco sul quale pende il gambo di un pensiero,
il maledetto abbandono della scrittura.