Ricordare. Dimenticare. Quale infinito scegliere per il 27 gennaio?!
Sono trascorsi settant’anni e pare che sia cambiato tutto. Ma lo è davvero?
In quella freddissima mattinata polacca due occhi grandi si nascondevano sotto un pesante casco di pelo. La neve cadeva. Gli occhi guardavano. Persino la guerra aveva esaurito le parole. Non c’era nulla lì. Era tutto vuoto. Pieno di vuoto in ogni angolo. Pieno di vuoto negli occhi, in quei pochi spettri semivivi rimasti in luce.
Pieno e vuoto:
Centinaia di migliaia di scarpe senza passi.
Settecento mila tonnellate di capelli senza nuca.
Occhiali, spazzole, valige, berretti, orologi.
“Ma di chi è tutto questo?”
“Dove sono finiti tutti?”
La neve cadeva.
Il bianco copriva finanche i pensieri perché nessuno avrebbe voluto pensarli.
Il mondo, per la prima volta, vide che nulla era lì:
nulla dell’uomo, di Dio, del mondo.
Come può sussistere una cornice senza quadro?
Come si regge un corpo senza il cuore?
Dove è mai possibile svegliarsi senza il sole?
Ad Auschwitz l’uomo si scoprì libero di essere disumano, di negarsi fino all’ultimo fratello, di seguire la follia senza pudore. Cessò di esistere il suo esistere stesso.
“Parole lontane queste, roba che non riaccadrà mai.”
Attenzione. Attenzione. Perché proprio quando il podere della storia viene scomposto e dato in pasto alle braccia, senza una mente e un cuore disposti a interiorizzarla, il suo insegnamento si smarrisce ovunque. È la nostra capacità di interiorizzare (per poi rendere vita) che ci salva dal prendere la forma di Auschwitz.
Ricordare. Dimenticare.
Da ieri siamo ancora su queste parole.
Ma è giusto pensare a questi due infiniti solo uno o due giorni all’anno?
È giusto continuare a consumare o vendere parole in abbondanza il 27 e il 28 di questo mese?
Dipende dal cuore, mi dico. Dalla coscienza di ciascuno.
Il post che pubblichiamo sul social non farà meditare noi stessi su ciò che è Auschwitz. Non lo farà probabilmente neppure un povero Truciolo di Mondo, perché ogni parola è vaga e mediocre se non è stata prima affogata dentro il grande silenzio della propria anima.