Dovrei reimparare chi ero per diventare chi sono.
Lo scapestrato ragazzino del liceo ne combinava tante, talmente tante da farne pure di buone ogni tanto. Talvolta, tra queste buone, era capace di cose straordinarie.
Stasera un fuoco ardente è divampato all’improvviso nella selva oscura. L’impressione è che, crescendo, sviluppando muscoli e altezze, io prenda le distanze da quella pura incoscienza, dalla spensierata leggerezza capace di cose straordinarie.
Qualcosa di me, in effetti, era più da uomo quando ero ragazzo. Una faccenda anomala che mi interroga sulle evoluzioni a gambero della cultura occidentale.
Maggiore è l’andare con se stessi nell’età dell’uomo e maggiore è la capacità di errore?
Se questa è l’impressione mi domando come possa accadere.
Il margine tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato si consuma ad ogni fraintendimento, ad ogni ventata obliqua di libertà occidentale. Altro che libertà. Anagraficamente si direbbe che stia divenendo adulto ma ogni libertà male interpretata non permette alla persona di diventarlo.
Dove abbiamo sbagliato noi uomini del pensiero greco? Dove stiamo ancora errando? Ne son certo, da qualche parte di sicuro.
Non sia mai che si rifiuti il proprio essere e la propria cultura, ma è solo il nutrirli di vita nuova che permette loro di non morire dentro di noi. Nei rumori programmati dei media e nei ritmi dettati dalla pubblicità è scivolato il compito che da anni ci scordiamo arrogantemente di adempiere.
Ci stiamo lasciando polverizzare dai luoghi comuni, soffocati dall’odore di chiuso del nostro cuore. Troppo spesso stracciamo l’onore delle nostre origini con pensieri conformati, ratificati, giustificati.
Il fuoco, quando irrompe, brucia le polveri, disinfetta, fa evaporare i liquidi tossici del pensiero avvelenato dalla rabbia. Come avvenga è un mistero. Fortuna che lo è. Fortuna che ogni tanto possiamo addirittura ammettere di non avere risposte. Grandi sono i poveri di risposte perché in loro rimane perenne l’andare a cercare. Prima o dopo, nel costante interpellarsi che trafora la mente, ci attraverserà la luce dei continenti: il pensiero africano, quello asiatico, il medio-orientale…
Credo profondamente in questi poveri uomini che per scelta stanno sulla via della domanda.
Credo in questi senzatetto del pensiero, gente che non è da confondere con chi cambia bandiera in base al vento che tira, perché i senzatetto del pensiero dimorano sulla strada del pensare, abitano il confine come scelta, sono immersi nel movimento del mondo senza riempirne la grande fetta omologata.
Un giorno, per caso, succederà che qualcuno di noi incontrerà uno di questi senzatetto, magari un ragazzino con le scarpe sporche, qualche orecchino o un tatuaggio.
Non avrà importanza l’età o l’abito perché ne rimarremo talmente affascinati da desiderare di affiancarlo nel viaggio.
Non ci saranno grandi manifestazioni di piazza. Nulla di ciò che sentiremo sarà mediatico. Quasi tutto avverrà in silenzio, interiormente e in un attimo. Sarà un incontro forte, inaspettato che ci farà sussurrare, liberamente, da dentro:
“Je suis senzatetto del pensiero.”
Quel giorno, forse, capirò di poter diventare chi ero.
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Trucioli
Alcuni di loro.
Senza risposte.
Salveranno il mondo.