Anche sulle rotaie che corrono a poche decine di metri dalla riva del lago Trasimeno comincia il giorno e parte la giornata. È successo un’altra volta. Ho portato con me tutto. Ogni sorta di appunto, libro e foglio stampato, dopo ore notturne di ragionata battitura di tesi.
“Si dovrebbe lavorare di lettura e matita in questo viaggio…” grida in silenzio la voce della coscienza.
Eppure uno sguardo al lago,
alle montagne incerte ma presenti che si innalzano sulla foschia brinosa del fondovalle.
Eppure un pensiero sui murales di fine anni novanta
che scortecciano la parete di uno scantinato abbandonato oltre la stazione di Passignano.
Eppure la buia galleria
che riflette la camicia a quadri e le dita veloci di memorie.
Eppure il riccioluto ventolare degli oliveti
come i capelli di una giovane scout.
Eppure il gatto vicino alle 6 bottiglie di latte fresco,
appoggiate al casolare in una cassa blu.
Eppure il fumo dei caminetti umbri
su larghi dejavou di un sempre più lontano erasmus spagnolo.
Eppure una frase che rimbomba
tra gli echi in sospeso della trasognante notte:
“Però, che bella la stazione la mattina…”
È proprio vero. Tesi non può portare a essere tesi, né al rischio d’esser fraintesi.
Su questo temibile ragionamento,
per le rotaie del tempo
che torna a illuminare la traccia,
il viaggio
alla fine si squarcia:
come una dolce parentesi,
al rasserenante e soffiato
scrivere creativo.