UN FILO DI QUIETE


A Flannery O’Connor, maestra di scrittura

Amo i quadri.
Non è che mi piacciano perché sono colorati. Mi piacciono in quanto quadri.
Non solamente quelli famosi od originali. Mi basta proprio che siano soltanto quadri.
Non sono ingombranti, sono di compagnia, per natura esistenziale vogliono bene alle persone o quantomeno, nel caso l’espressione abbia sollevato in voi un sentimento errato, vogliono che gli occhi di chi entra stiano bene, si trovino accolti, si sentano parte creativa e funzionale della bellezza.
Ogni volta che qualcuno sussurra qualcosa nel mondo viene rotto il silenzio, viene meno quel misterioso appoggio della parola, il nulla necessario affinché un significato possa sussistere.
Se esiste davvero un qualcosa di difficile per gli scrittori, oltre all’atto stesso di scrivere, è forse il silenzio. Cercarlo, conquistarlo, ridonarlo.
Mi piacciono i quadri, discutono silenzio.
Non è un caso che una delle più grandi scrittrici americane di sempre abbia rivoluzionato le teorie sullo scrivere con il semplice

“Show, don’t tell”

Frase perfetta che ha rotto gli equilibri delle ingombranti sofisticherie artefatte degli scrittori di mezzo mondo.
Lo scrittore non dice abbastanza se non mostra. Non racconta mai così bene se non indossa, e fa indossare a chi legge, i panni del pittore, dello scarabocchista, del disegnaiuol di strada.
Che sia la tecn, -ica od -ologia, non è comunque tutto.
C’è una creatività umana ben più penetrante che passa ancora per gli antichi strumenti dell’artigiano, per le usanze del passato e i vecchi materiali della bottega.
Credo sarebbe contenta la maestra di Milledgeville se mi sentisse scrivere che i libri devono essere dei quadri, dipinti della memoria, impronte di mistero sulle pareti di casa.
Nel silenzio vivono e agiscono, raccontano mostrando l’essenziale, mantengono in respiro l’incompiuto.
Ebbene, amo i quadri in quanto quadri.
Il senso ontologico è presente in ogni uomo per conservare l’origine e l’essenza di ciò che è vita.
È questa indagine poetica sul fondamento dell’essere a recuperarmi ogni volta, forse anche dal limite di una pagina mal presentata di mondo. E allora ritrovo la meraviglia del silenzio, i sussurri di un’antica povertà andata perduta. Rendo grazie. Perché, nel darsi apparentemente immobile dei quadri, giace in fondo appena un augurio, un filo di quiete che soltanto la luce dello sguardo può udire:

buon viaggio


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