DOVE MADRID PUÒ DARSI


“…Te prometo que conmigo serás libre, que sabré irme y a la vez quedarme.”

Scendo Calle Ferraz e sulla destra, al bivio, scelgo la scalinata di sinistra senza pensarci. Giusto in cima si apre il surreale spettacolo del Templo de Debod, ruderi d’Egitto in mezzo a Madrid.
Qua può darsi. Qua sì.
Mi siedo sulla prima panchina che vedo, una delle numerosissime in legno scuro che prendon ombra sotto i grandi castagni del parco.
Il posto conserva uno strano e umano silenzio. La Capital pare ci traffichi intorno con riguardo, tanta è la sacralità che l’antico Egitto porta in giro da secoli.
In Plaza de Cristino Martos c’è una piccola terrazzina con 8 tavolini di legno, ognuno con cinque fiori freschi in un vasetto cilindrico. Prima di arrivarci, in questo mercoledì di maggio, è necessario attraversare qualche marciapiede e, a più riprese, piccole schiere di tifosi juventini giunti per la semifinale di Champions. La cameriera ha i capelli rossi e serve un café con leche niente male.
Solo adesso lo cristallizzo, è stato proprio lì, colazionando, che l’ho avvertita: la sensazione di dover lasciarmi. Ho sentito la personalità di questa città, la sua situazione organica immersa nella cappa metropolitana, la giustezza del suo espandersi per spazi antichi e moderni, il suo accento castellano con una “ese” finale ancora proporzionata.
Xenav, tempo fa, fu la prima a parlarmi di “personalità di una città”. Non decifrai se fosse qualcosa di vero, di profondamente capito o solo un altro slancio euforico di poetismo contemporaneo.
“Alla larga da ciò” mi dissi, “Stanne fuori… fuori da tutto quello che non accarezzi verità.”
Mi sono dovuto fermare su questa panchina perché, poco fa, Xenav è tornata a parlarmene. Come al solito nella sua insolita maniera, in terrazzina, rompendo gli schemi di una quasi normale conversazione mattutina:
New York non ha la personalità per stare con te. Voi siete diversi. Lei per te non ci starà mai fino in fondo.”
“Che c’entra adesso New York, Xenav!”
“Niente. Ma volevo che tu lo sapessi… Londra per esempio credo che un giorno ti chiamerà.”
“Londra? E questa da dove esce?”
“…Oh! Che antipatico! Volevo dirtelo e basta. Punto. Non ti dico più nulla.”
“…E Madrid?” Commento subito stando al gioco.
“Ya no. No voy a decirte nada mas.”
“Ora ti offendi e mi parli in spagnolo? Dai, Non fare la tontita… Cuéntame Madrid…….” Ribatto sorridendo.
“Pues… Madrid No lo sé…Escucha lo que te dice.”

Siamo cresciuti insieme Xenav ed io, ci vogliamo bene come due fratelli. Con ripetuti abbracci giungiamo a salutarci fin sotto a Calle Princesa, sull’ennesimo passaggio di tifosi bianconeri diretti al Bernabeu.
Eccoli qui: questi sono i bivi del mondo, i richiami dell’essere, i momenti di evoluzione interiore. Sono questi, perché la rincorsa calcistica mi avrebbe portato animatamente a seguire il ritmo della passione fino al Templo del Fútbol.
Mi ci avrebbe portato davvero…
se non fosse stato per Xenav,
per lo stare al gioco,
se non fosse stato per “Escucha lo que te dice”.

Non so se sia possibile ascoltare ciò che una città ha da dirti. Forse sì, ma immagino non sempre. In ogni caso mi pare esista solo una regola davvero necessaria per provare a farlo: recarsi nel luogo in cui la propria personalità possa tranquillizzarsi e la penna lasciarsi imbiancare poco a poco dal foglio. Lì, uomo e città sono zero a zero e tutto può darsi.
Non so dire quanti luoghi esistano per escuchar lo que dice la Capital, senz’altro el Templo de Debod è uno di questi.

 

 

“…Ti prometto che con me diventerai libero, che saprò andarmene mentre resto.”

Madrid


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